Questo weekend da malata mi sono data alla visione di qualche nuova uscita più o meno attesa.
Primo film: Le Idi di Marzo.
Devo ammettere di essere partita prevenuta su questo, per ovvia via dei protagonisti coinvolti. In primissimus Ryan Gosling (che ricordo ai lettori, non ho scoperto adesso come la maggior parte della critica e delle ragazzine urlanti, giusto per chiarire), ottimo attore, ottime critiche negli ultimi mesi; dopo aver visto con idolatro rapimento Drive era impossibile non avere aspettative alte e preconcetti di gloria e sterotipi. Invece se la cava fuori dal personaggio del sex symbol anche dopo Crazy Stupid Love. Diciamo che la competizione con George Clooney non c’era perchè il vecchiardo, ehm, veterano e regista non si pone mai nella spot light come bell’uomo, ma rimane il personaggio politico che aleggia un po’ sullo sfondo. Questo è uno dei pregi principali del film, complimenti per l’umiltà registica.
Passiamo agli altri punti forti del cast, quei nomi che lo sai prima di vedere un film che quando ci sono loro dei crediti il film deve essere bello: parliamo di Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti. Infatti rendono, punto, anche quando non sono protagonisti.
Il terzo punto di scetticismo è la politica, come ti approcci in periodo di rielezioni ad un film che racconto di candidati alla presidenza? Con scetticismo, appunto.
La prima metà del film infatti rimane un po’ sotto tono e sopra le righe con la polemica velata, l’idealismo portato all’eccesso di alcuni discorsi, nobiltà politica e cambiamenti radicali; poster di Clooney in versione Obama. Per 45 minuti sembra che ci stiano facendo capire che non sono molto soddisfatti con la promessa rivoluzionaria inavverata del Presidente.
Poi di colpo suona un telefono, la faccia sconvolta di Ryan Gosling e le lacrime della brava (si, è brava) Evan Rachel Wood stravolgono la situazione e il film diventa un ottimo thriller solo un po’ politico. Valeva la pena aspettare.
Ideali, morale, politica, umanità. Non sono temi principali di Le Idi di Marzo, solo lo sfondo per un thriller molto ben girato.
Secondo film: Martha, Marcy, May, Marlene.
E’ il debutto ufficiale di un’ulteriore Olsen, la sorella minore delle mini-gemelle, Elizabeth Olsen, 22 anni di talendo ed emozione.
Il film tocca un argomento torrido, i gruppi/culto nell’america rulale, quelli sulla scia di Manson per intenderci. Quelli che fanno il lavaggio del cervello alle ragazzine scappate di casa.
La storia di Martha, Marcy May e Marlene per i membri del culto, è complessa e psicologica. Forse troppo per la sceneggiatura che non riesce a rendere un racconto abbastanza complesso, ma a colmare le lacune di sceneggiatura c’è la regia che salta tra presente al sicuto e passato nel culto senza strappi e, soprattutto, la profondità del personaggio intepretato magnificamente dalla Olsen. Si può persino arrivare a dire che sia lei a reggere l’intero film, aiutata dagli sbalzi temporali che riflettono le paure del personaggio e portano lentamente al finale.
Non è facile da vedere, è lento e crudo, ma ne vale la pena.