Limitless ha, in realtà, moltissimi limiti

Non sapendo cosa fare – o cosa guardare – in questi giorni ho provato un po’ di ciò che amo chiamere l’equivalente cinematografico del junk food, fast film ad uso veloce.

Prova n. 1: Red Riding Hood, sopra il quale è meglio stendere un velo, anche rosso va benissimo, pietoso. Ma presto arriverà una review dettagliata e desolatamente sarcastica.

Al secondo tentativo ho provato Limitless, uno di quei filmetti tanto attesi, con la star nascente (preferibilmente uomo, fascinoso, occhi azzuri dei quali tornerò presto a parlare), la trama veloce, il nome big da copertina, che in questo caso è il povero De Niro.

Non si può dire che Limitless sia un brutto film. Di bello ha, per esempio, l’avermi fatto scoprire una nuova etichetta luccicante: il techno-thriller. C’è un gran rimanr affascinati dalle combinazioni di parole inventate per dare nome e, quindi, apparenza di consistenza a stili e generi che, in realtà, non esistono (oppure non sopravvivono a lungo). Credo che techno qui ci stia per la combinazione di droga ingegnerizzata, lievi tratti super-umani e non soprannaturali. Non un Bourne, che rimane il mito di combattente soldatino invincibile; non la magica fortuna e l’ignegno di Ocean e i suoi: lo scrittore senza idee Cooper si apre la mente con una nuova droga che rende accessibili in ogni momento tutte le informazioni presenti nel cervello. Il risultato è un superuomo che dura il tempo di una sbornia.

Tornano allora gli occhi incredibilmente azzurri, pur sempre più credibilmente aggiustati dall’editing e dalla buonissima cinematografia/fotografia; sono loro i veri protagonisti del film, perchè non si riesce a non guardarli e, soprattutto, perchè sono usati dalla regia come porta delle sinapsi. Lo sviluppo del pensiero passa attraverso il filtro delle pupille e della vista, quella dei personaggi, rappresentata in modo che sia comprensibile allo spettatore e quella dello spettatore, che ha la breve (dis)illusione di pensare l’impossibile attraverso la presa visione del pensiero alterato dei protagonisti… paroloni per descrivere con fronzoli banali, semplice e comunque efficaci slow motion e cambi di prospettiva.
Il giudizio per questo film è simile, se non uguale, a quello di molti altri “coetanei”: carino, easy on the eyes, facile da vedere, facile da seguire e da capire, ben eseguito nella parte tecnica e un grandioso spreco di potenziale vagamente scimmiottante Inception per alcuni concetti e giochetti visivi.

Alla regia Neil Burger, già di The Illusionist e The Lucky Ones. Sfortunatamente Limitless ha preso molto più dal primo che dal secondo piccolo e poco apprezzato gioiellino.

 

Spoiler Alert!

Spoiler Alert!

Spoiler Alert!

A lasciare un saporaccio critico in bocca, però, non sono tanto formalità e tecnicalità, quanto il messaggio finale: la classica chiusura incerta ci lascia nel dubbio che Eddie (Cooper) non abbia davvero smesso di assumere la droga che lo rende mentalmente invincibile e  lo fa con un sorriso. Come a dire “prendere droghe che ti fanno più intelligente (e bello, chissà poi perchè) è una buona cosa” oppure, nella versione alternativa: “il fine giustifica i mezzi, drogati pure se è per essere intelligente ed avere successo”. Non è un messaggio e i film non sono educazione, ma non è il finale più azzeccato tra le papabili scelte di percorso.

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