Scarlett Johansson, “Anywhere I lay my head”. Prodotto da David Andrew Sitek, registrato nei Dockside Studios in Maurice, Louisiana. Testi di Tom Waits (sono tutte cover, tranne una), voce di Scarlett e musica suonata da amici di Sitek, multi-strumentalisti e scelti uno per uno per collaborare al progetto.
Perché Tom Waits? Perché mi piace la sua musica risponde la Johansson, perché voleva fare un album fatto bene e di belle canzoni. Emozionante.
Con una voce profonda e malleabile dà vita alle canzoni come fossero le sue, come se fossero state scritte per lei e senza pretese. “Anywhere I lay my head” non è un album abbozzato per protrarre la popolarità di attrice o perché lo fanno già tutti, c’è di fondo una serietà quasi palpabile da parte di tutto lo staff e soprattutto grande impegno: a 23 anni attrice e musa di Woody Allen, regina delle produzioni indipendenti e ora cantante prova di avere grande coraggio e sensibilità mettendo in piedi un progetto ambizioso nel suo essere particolare e personale.
La giovanissima Johansson porta con la musica, assieme al cinema, una rinfrescante aria di vecchio, dei bei vecchi tempi quando gli artisti erano tali se sapevano fare tutto. Cantare, recitare, ballare, divertire, essere seri e poetici, essere scenici fuori scena e naturali sulla pellicola.
Tra le canzoni più belle del disco l’intro musicale “Fawn” che apre la strada all’ascolto, una sorta di mettetevi comodi and enjoy. In “Falling Down” – sembra quasi di ascoltare Sinéad O’Connor – e “Song for Jo” (l’unica canzone originale) la voce di Scarlett naviga sulla musica che spesso altrimenti copre l’effettivo talento. Se da una parte l’importanza degli strumenti e della musica sulle parole può essere una novità ben accetta e naturale, è d’altra parte un peccato non godere al 100per100 della bella voce. Profonda, sensuale e maschiaccia allo stesso tempo, corposa e in qualche modo cremosa, succosa.
Le cinque settimane passate a registrare nel Bayou della Louisiana sono palpabili nelle atmosfere dei brani, tra le note e nella voce umida, si possono chiudere gli occhi e quasi toccare sul vetro le gocce di pioggia calda del sud o scorrere fianco a fianco le case vecchie e gli alberi secolari che rimangono come fiori sul cemento. Il riverbero degli strumenti tra una canzone e l’altra, suono che prevale spesso sulla canzone ad alcuni non piace, qui crea solo paesaggi, ci si perde nell’LP come ci si lascia andare al sole quando fa caldo, quando si vede il riverbero del sole lontano sulla strada e tra gli alberi. Poi i sobborghi del midwest in un road trip musicale intimo e coinvolgente.
Un lavoro naturale, vecchio stile e genuino. Da ascoltare almeno una volta.