Seria disquisizione sulla serialità televisiva

Questo articolo va davvero al punto, dritto al cuore della questione televisiva che strugge la mia generazione dalla metà degli anni 80.

“Si tratta di prodotti di serie, non in serie”

Niente di più vero in questa breve frase. Ogni epoca hai suoi migliori, pochi telefilm sono riusciti a spiccare, uno per genere, uno per decennio. Oggi rimaniamo con il fiato sospeso aspettando di vedere cosa ci aspetta nel futuro del piccolo schermo.

Molti di noi sono cresciuti con le serie in procinto di finire, molti di noi sono cresciti grazie alle grandi degli anni 90. Con cosa andremo avanti? Quale sarà la qualità dei nuovi prodotti? Per ora abbiamo poche certezze con The Good Wife, anche se non è da considerarsi una nuovissima al terzo anno di running. Una pioggia di remake e reboot sta soffocando e insultando l’intelligenza media di chi ha sempre apprezzato gli ultimi 2o anni ti televisione (vedi 9021o, Terminator, i prossimi tentativi di Wonderwoman).

Proviamo terrore in quest’attesa, in aspettative che verranno quasi certamente distrutte, pestate, calciate e scuoiate da qualche anno di banalità idiotiche.

Danno speranza American Horror Story e Once Upon a Time, ma datemi retta, non dureranno più di un paio di stagioni.

Non solo House, Grey’s Anatomy e Desperate Housewives finiranno con la stagione in inizio; in via non ufficiale è chiarissimo che i CSI di ogni città si trovino in grandissime difficoltà, Fringe (nonostante la qualità, ma questo è il nostro pensiero) è stato da un po’ spostato al “friday night death slot”. Law & Order arranca, The Closer è ufficialmente agli sgoccioli. Mi duole dirlo, eppure True Blood alla quarta stagione è stato pacchiano e poco interessante.

E ora, con questa televisiva tristezza, leggiamo da Film.it

Da Desperate Housewives a Dottor House: il tempo degli addii

Le casalinghe di Wisteria Lane, il Dottor House, gli ex specializzandi del Seattle Grace. Dovremo salutarli tutti. Inizia la stagione delle final season. Ma cosa succederà dopo?

Quello con cui finirà la stagione televisiva in corso sarà forse il cliffhanger più grande della storia della TV. Cosa succederà al piccolo schermo ora che le serie che ne hanno determinato la Golden Age volgono al termine? In confronto scoprire chi ha sparato a J.R. è davvero poca cosa. I modi sgarbati di House, le manie di perfezionismo di Bree, l’atmosfera da Beautiful del Seattle Grace non solo sono entrati nel cuore di milioni di spettatori diventando per loro familiari, ma hanno anche fatto scuola segnando l’epoca della grande qualità, del mix di generi, dei dialoghi curati.

Niente sarà più come prima. E su questo la serialità ha sempre parlato chiaro: terminati gli show diventati cult c’è sempre stata la fine di un genere per come lo si conosceva. La parabola iniziata con Beverly Hills 90210 e terminata con Dawson’s Creek ha determinato la fine di un modo di concepire il teen drama che neanche gli eventuali sequel sono riusciti a resuscitare per quel che era. Per questo una volta che la deriva di E.R. ha portato a Grey’s Anatomy (e quindi anche a Privacte Practice) per il lato rosa, e al Dottor House se consideriamo quello giallo, la certezza è che non si tratta di un arrivederci ma di un addio. L’era si chiude: Lipstick Jungle non riuscì a sostituire Sex and the City e il pubblico preferì le repliche delle avventure del caro vecchio quartetto.

Nessuno si aggirerà mai come nei perbenisti vialetti di Wisteria Lane, né ci sarà voce narrante più perspicace di Mary Alice Young. Perché dopo Ally McBeal il legal ha dovuto lottare e prendersi il suo tempo prima di arrivare alle eccellenze di The Good Wife. Si tratta di prodotti di serie, non in serie: Lost rimarrà figlio unico nonostante J.J. Abrams sia un papà davvero prolifico.

Ma noi spettatori, così, rischiamo di rimanere orfani. Nebbiose le prospettive che si profilano all’orizzonte. Da una parte ci sono la Cable, HBO in testa, sempre pronte a regalare prodotti di grande qualità in grado di rivaleggiare col grande schermo, show che per definizione sono però un vero e proprio unicum, dall’altra i Network con i loro palinsesti ancora da scoprire. In mezzo una serie di volti noti, ormai identificabili con i propri personaggi al punto da rischiare la crisi di identità, attori validi che non possiamo accettare di perdere di vista ma che faticheremmo a considerare in panni del tutto diversi da quelli che ce li hanno fatti diventare cari. Grazie a loro la tendenza che portava gli attori del piccolo schermo a diventare delle star del cinema ha invertito la rotta provocando una sorta di migrazione di ritorno a cui dobbiamo tanti interpretazioni magistrali da Glenn Close in Damages fino ad arrivare al Nucky Thompson di Buscemi.

Così, mentre Pan Am e American Horror Story muovono i loro primi, e nel primo caso incerti, passi, rimaniamo incollati al piccolo schermo chiedendoci cosa sarà do noi, malati di serial, e se l’addio sarà all’altezza del primo folgorante incontro.

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via Da Desperate Housewives a Dottor House il tempo degli addii.

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