Dopo una maratona di E.R. la sensazione di non voler crescere c’è anche quando stai per compiere 31 anni (cioè, già la soglia l’hai superata, che problema c’è direte). La voglia di tornare a quando i problemi erano meno e più volatili: perché tutti ce l’hanno con il dottor Carter? Perché i miei pari mi costringono a mettermi la camicia a quadri da guardiaboschi? Chi ha inventato il pile e cosa mi manca da studiare per domani?
Tra un mal di testa e l’altro sto leggendo un libro interessantissimo, La Vita Emotiva del Cervello, e per ora ho capito una cosa fondamentale: le emozioni hanno origine nella biologia del cervello. Dagli archetipi di Jung deriva la teoria dei Tipi Emozionali, tipi di personalità unici ma identificabili fisicamente, scientificamente. Dopo i primi tre test non ho ancora avuto sorprese: sulla Resilienza ho il minimo dei punti, cioè non mi riprendo velocemente; i momenti di gioia li vivo in un millesimo di secondo e poi puff, spariti: tratti di personalità tendente alla depressione. Non che non me lo avesse mai detto nessuno, me compresa, però qui non si parla di malattia ma di neuropsicologia. In qualche modo sembra più gentile.
Il dilemma potrebbe superare quello amletico. Sono depressa perché sono nata così, il mio cervello è biologicamente conformato per dare alla mia personalità la tendenza alla depressone oppure il mio cervello ha bisogno di sostegno biochimico perché sono depressa? L’uovo e la gallina, o la gallina nell’uovo.
Una cosa che non dice il libro per ora è come muoversi tra cervello e percezione. Se sia meglio cercare di vedere il mondo con altri occhi, magari gli occhi di un altro Archetipo, oppure rimanere ciò che biologicamente sono e mandarli a farsi fottere gli archetipi che non si sforzano nemmeno di guardare da una fessura, per un secondo, con i miei di occhi.